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10 Gennaio 2020
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AIAI

 “L’OSSERVATORE SPIATO”

RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

                                                        

AIAI

Parlare oggi di A.I., di Machine Learning, di Deep Learning, di Software 2.0, Marketing 3.0, Sanità 4.0 e di tutte le altre straordinarie potenzialità offerte dalla digitalizzazione globale – escogitate esclusivamente per migliorare la nostra condizione, occorre ricordarlo, e pensando al tempo stesso di spacciare per dogma sia la prevenzione e la cura di certe malattie che il fatto che, portando a termine le fasi sperimentali connesse allo sviluppo delle tecnologie appena menzionate, l’occupazione aumenterà in modo esponenziale – è diventato un must (“must” inteso come pura accezione anglofila di ciò che significa la parola tradotta). E’ vero che il mondo cambia e che essendo in continua evoluzione bisogna dimostrare di saper adeguarsi alle nuove conquiste digitali, malgrado stiano progressivamente invadendo l’esistenza stessa delle persone, così com’è anche vero che non bisognerebbe diffidare o, peggio, temere l’impiego delle intelligenze artificiali, specie se usate a fin di bene, ma la domanda è : perché chi le ha progettate o chi comunque è costretto ad usarle le propina quotidianamente su qualsiasi canale multimediale che ha a disposizione per divulgare l’importanza primaria che dovrebbero avere nella vita di ognuno di noi, facendo così passare il messaggio che in un prossimo futuro – per non dire domani – diventeranno indispensabili? Se la risposta si limitasse ad analizzare delle cause di natura economica tutto sommato sarebbe perfino comprensibile pensare che lo diventeranno, considerato che tutto o quasi è basato su quelle cause, essendo però invece molto più articolata e complessa merita una riflessione, che di certo verrà confutata e stroncata da una miriade di riflessioni di carattere ordinario (chi la pensa in modo diverso) e straordinario (ovvero, create artificialmente da una serie di algoritmi, come per esempio quelli già in uso per correggere gli errori ortografici e grammaticali, predisposti e pianificati deliberatamente per renderla vana) ma che, comunque sia, per fortuna ha ancora il privilegio di essere condivisa. Premesso che, in materia digitale, i fautori del Marketing 3.0 (ovvero della pubblicità basata sulle neuroscienze) sono stati forse i pionieri dell’arte di cambiare il significato alle parole usate per comunicare un messaggio promozionale – se qualcuno ha avuto il piacere di assistere a un forum o a un qualche loro congresso inerente gli aspetti più “umanisti” degli obiettivi che si impongono di raggiungere di continuo, non gli sarà certo sfuggita l’interpretazione del concetto che loro hanno del Marketing in generale, ovvero del fatto che sia stato da sempre basato sulle note “4 P di Product, Price, Place and Promotion” a cui si sono poi aggiunte le altre note “3 P di Profits, People and Planet” e che, in sintesi, il fare pubblicità tramite una pianificazione mirata e selettiva, che induce l’utente all’acquisto di un prodotto senza più aver bisogno nemmeno di chiedergli direttamente se possa o meno piacergli quel prodotto, debba essere visto all’unanimità come una sorta di nuovo umanesimo visto che, intercettando le preferenze, usare le neuroscienze per riuscire ad avere una clientela fedele non è da considerarsi un metodo invasivo (secondo loro) proprio perché si prende cura delle persone, specie della privacy delle persone – e che perciò spetterebbe a loro in primis rispondere, ma che per ovvie ragioni di orientamento, oltre che di convenienza, quando vengono interpellati nella maggior parte dei casi preferiscono lasciar intendere che debba comunque essere il potenziale utente/acquirente a scegliere quale prodotto comprare, di conseguenza non potrebbero che rispondere che le I.A. saranno indispensabili come l’aria che respiriamo. Detto questo, il demandare progressivamente qualsiasi incombenza domestica o di assistenza sanitaria alle macchine progettate e collaudate tramite sistemi dotati di I.A. per agevolare l’operato umano, quanto inciderà sulla conservazione o sulla perdita di memoria empirica (o professionale) di un individuo? A che pro si tenterebbe di dotare di coscienza una macchina progettata e collaudata con sistemi di I.A. cercando di far riconoscere – dalla comunità scientifica all’opinione pubblica – il concetto di algoretica come un qualcosa di ancora indefinito ma che potrebbe rivoluzionare in toto il nostro stesso modo di pensare (in pratica le macchine lo farebbero al posto nostro) se per coscienza s’intendesse qualcosa di artificiale? Chi saranno i prossimi negazionisti, quelli che si rifiuteranno categoricamente di sforzarsi a comprendere l’evoluzione dei più naturali processi biologici? Di recente il Parlamento Europeo ha sollevato la questione di attribuire, o meno, a dei robot capaci di decidere in completa autonomia circa lo svolgimento di determinati compiti, una personalità elettronica, ovvero la possibilità, o meno, di avere dei diritti e delle responsabilità, proprio come un essere umano, ma una volta che questi robot si produrranno su vasta scala – poniamo che si triplicasse la già attuale produzione – quale sarebbe la responsabilità dei produttori qualora i robot fallissero i loro compiti? Se con la parola (di nuovo conio) algoretica s’intendesse porre dei dubbi alla macchina dotata di I.A. e che, prima di prendere una qualsiasi importante decisione etica, la stessa macchina sia costretta ad interpellare l’uomo per poter agire proprio per rendere un servizio indispensabile, in che cosa consisterebbe l’utilità delle I.A.?  Quale responsabilità dovrebbero avere, ma soprattutto di quale coscienza dovrebbero dotarsi?  Quando per futuro s’intende migliorare le condizioni di vita sociale, monitorando per esempio il comportamento inconscio attraverso dei dispositivi di realtà aumentata, quale significato dovrebbero avere parole come progresso, sviluppo e crescita in un contesto politico?