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Vulnus operandi

“L’OSSERVATORE SPIATO” RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

Vulnus operandi

Come forse anche le pietre sanno, il prossimo 25 Settembre gli Italiani avranno finalmente il privilegio di poter cambiare pagina tornando alle urne per eleggere il nuovo esecutivo, dopo la tra virgolette inspiegabile caduta di quello dimissionario, che – quanto alla gestione della pandemia e delle risorse da distribuire responsabilmente per far sì che il Paese non precipiti in un baratro senza fondo – è riuscito a dimostrare che si può fare addirittura qualcosa in più rispetto ai danni incalcolabili causati dalle precedenti amministrazioni. Considerato però che due delle questioni più rilevanti – ovvero, quella relativa al sempre più dilagante astensionismo e quella relativa all’ effettiva carenza di una classe dirigente adeguata e soprattutto rappresentativa – sono destinate a rimanere irrisolte nei secoli a venire, è evidente che la scelta del voto (o del non voto) non è tra le più facili. Inoltre – se si aggiungesse che in Rete esistono delle associazioni pronte ad esortare il potenziale non elettore nel continuare a disertare le urne sciorinando tutte le proprie indiscusse competenze in merito (nell’ essere un passo avanti rispetto alle altre) ovvero, affermando di predisporre di tecnologie in grado di unire indissolubilmente qualunque astensionista convinto sull’onda del voto di protesta, un po’ come accadde con il M5s – tanto varrebbe sostenere di essere come gli altri Partiti, vale a dire di essere in perenne campagna elettorale ritrovandosi punto e a capo a promettere l’irrealizzabile. Quante promesse e quante bugie dovrà ancora sopportare il popolo, se nemmeno dopo questi 28 mesi (a partire dall’inizio della pandemia) di abusi di potere mascherato da libertà è riuscito a coalizzarsi in un’unica e indivisibile forza politica? Per intervenire in modo sistemico sull’operato fallimentare di questa classe dirigente non basta andare a votare (anche perché sarebbe impossibile dare una preferenza in questo particolare momento storico) e nemmeno partecipare attivamente alle continue emergenze che giorno dopo giorno si ripresenteranno facendo come sempre pagare il conto ai contribuenti, occorre riflettere sulle cause e sulle origini di questo fallimento. Ragionando dunque in termini propositivi, l’urgenza di una riforma strutturale delle telecomunicazioni – giusto per citarne una, che nell’agenda di un rappresentante politico avrebbe dovuto essere prioritaria almeno trent’anni fa – a questo punto della Storia sarebbe indispensabile e potrebbe contribuire, per esempio, in primo luogo a far crescere in modo esponenziale un’ampia platea di utenti/Lettori (invece che una già fin troppo estesa, come quella degli utenti/Spettatori) del servizio pubblico, evitando così, con somma gioia condivisa, quegli interminabili “approfondimenti” in cui ci si interroga e sulle cause e sulle origini della carenza culturale che nonostante tutto continua a persistere in questo Paese; in secondo, a ripristinare concretamente una buona parte di quei valori e di quei rapporti interpersonali che sono progressivamente andati perduti grazie a fattori discriminanti (generati sia dall’emulazione compulsiva di starlette di quart’ordine, che dall’abuso dell’ascolto di programmi televisivi cosiddetti spazzatura) ; e in ultimo, ad oggettivare, forse, quella propositività politica tra i giovani senza per forza di cose dover diventare Sardine o Aguglie al soldo di qualche Partito Nazionale, ma partecipando in massa su questioni determinanti per l’interesse collettivo, invece che subire passivamente tutto quello che viene puntualmente propinato dalle forze politiche in campo in qualsiasi campagna elettorale (figuriamoci in questa!). In tal senso – qualora si riuscisse ad attuare questa Riforma – sarebbe già qualcosa, sarebbe utile, ma sarebbe ancora più utile (giusto per fare un esempio a caso) se questa riflessione non fosse dipinta dalla narrazione dominante come una sorta di offesa a un diritto inalienabile, quale quello di poter esercitare l’Informazione a seconda dei diktat imposti dalle varie amministrazioni governative che si susseguono ininterrottamente. Poco importa che sia o meno stato violato tale diritto da tale o da altre riflessioni, quel che importa e che di certo è più grave è che – indipendentemente da questo – sarebbero comunque riflessioni da etichettare proprio come un’offesa a tale “diritto” di libertà d’espressione, a prescindere dalla divulgazione, ma soprattutto a prescindere da chi vengono lette. Pianificare una propaganda illusoria e per troppi versi finalizzata a formare un pensiero unico nell’opinione pubblica – destabilizzando chiunque osi opporsi a tale pratica fingendo di dare spazio e visibilità giusto per qualche secondo a qualcuno che può pensarla diversamente, e in “virtù” di questo dichiarare che «il contraddittorio è il sale del pluralismo» – non vuol dire fare informazione, significa soltanto tentare invano di demistificare la realtà oggettiva auspicando che la maggioranza dell’opinione pubblica continui a credere che quello che sta ascoltando e vedendo h 24 non possa che essere la verità e nient’ altro che la verità. Difficile dire quale sia il torto o l’offesa più grande fatta nei confronti di un diritto inalienabile come quello di essere informati in modo credibile sui fatti che accadono quotidianamente, bisognerebbe cominciare ad essere “meno selettivi”, forse.